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0 Come l'archeologo

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  • di Manuela Savoretti
  • 07-11-2023
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COME L'ARCHEOLOGO

 

La pratica permette di aprirci a noi stessi e quindi a far emergere qualsiasi cosa è presente dentro di noi. Questo processo ci porta a confrontarci con lati di noi che magari neanche sapevamo di avere o che non volevamo saperne proprio o che abbiamo tenuto nascosti per tanto tempo.

 

Questa apertura verso il nostro vero Sé può far affiorare immagini di noi che non ci aspettavamo di incontrare o sensazioni che magari pensavamo appartenere solo agli altri. Quando ci rendiamo conto che siamo in grado di provare e sentire anche emozioni di cui magari ci vergogniamo, possiamo sviluppare in noi l'umiltà che ci accompagna a comprendere che siamo tutti uguali, che siamo tutti Uno.

 

Siamo tanti e siamo Uno.

 

L'esperienza della crescita spirituale non è come cogliere un fiore dal prato e starsene lì a sentirne l'odore sotto il sole che ci scalda. Tutt'altro, ci può anzi far sentire molto a disagio e magari rimpiangere i tempi in cui tutto era ben chiuso dentro di noi e farci sballottolare qua e la dalla vita ci andava quasi bene. Ebbene si, in questo percorso andiamo a risvegliare tutti i mostri che nell'arco della nostra vita abbiamo lasciato nascosti da qualche parte dentro di noi. Ma perché sottoporsi a tutto questo? Credo che la risposta sia per essere e diventare più umani, per ritrovare un contatto autentico con un Sé primordiale che la società ha soffocato, per riconoscerci davvero per quello che siamo e non per quello che ci hanno raccontato.

 

Da dove arriva questa sofferenza e questo disagio che possiamo provare durante il percorso?

 

Arriva dall'attaccamento che abbiamo alle identità di noi che ci siamo dati. Lasciare andare chi crediamo di essere vuol dire lasciare andare un pezzo importante di noi che ci ha accompagnato per tanto tempo e scoprire di non essere quello può farci stare male. Per questo si pratica il non attaccamento, per imparare ad non attaccarci neanche a un disegno che avevamo fatto di noi stessi. La pratica ci porta a liberarci, anche attraverso il disagio, dai nostri vari Io che si sono stratificati nel corso della vita, dalla nostre fervide convinzioni.

 

Spogliarci a poco a poco di queste false identità lascia lo spazio necessario al nostro vero Sé di emergere, ma questo prevede un atto di fiducia verso il non conosciuto (vero Sé) rispetto a un qualcosa che conosciamo bene (vari Io). A volte preferiamo rimanere nella scomodità piuttosto che lanciarci nel mistero dell'Essenza.

 

Durante questo processo di scoperta di noi stessi, dovremmo avere l'accortezza di trattarci con gentilezza amorevole e compassionevole, e fare emergere piano piano, un pò alla volta, tutto il nascosto che c'è dentro di noi. Dovremmo lavorare come fa un archeologo, che scava, scava e quando trova qualcosa di prezioso (che in questo caso siamo proprio Noi), lo tratta con tutta l'attenzione e la cura possibili per riportarlo alla luce senza danneggiarlo.

 

Con metta,

Manuela

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