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0 La presa di coscienza

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  • di Giovanni Catemario
  • 09-09-2021
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(Tratto da “I miei esercizi di Yoga” di Denise e Andrè van Lysebeth)

 

Altro punto importante dello Yoga (e le asana non devono sfuggire a questa regola): bisogna evitare che si instauri l’abitudine, il condizionamento. Non soltanto siamo tutti principianti, ma dobbiamo esserlo sempre, sino alla fine! Il neofita ha tante cose a cui pensare e fare durante la sua lezione che la sua mente ne è quasi automaticamente assorbita. E’ perfetto ! Ma quando si instaura l’abitudine, se non si fa attenzione, si potrebbe arrivare ad effettuare le asana quasi meccanicamente, pensando agli affari propri, alle proprie preoccupazioni, lasciando in breve che il pensiero vaghi liberamente.

Ecco sorgere l’ostacolo.

Durante la luna di miele, il marito rimane a fianco della sua donna, non l’abbandona un istante e ogni minuto della sua presenza è affascinante. E dieci anni dopo ?…. Nello yoga, la luna di miele dovrebbe essere continua. E’ possibile, poiché c’è molto da scoprire nello Yoga e nel proprio corpo.

E’ più che una possibilità, è una delle condizioni essenziali di esecuzione delle posizioni. Durante le asana bisogna sempre “impadronirsi” del proprio corpo, pensarvi, lasciarsi assorbire, ascoltarlo. Non soltanto per lo stimolo equilibrato dei due emisferi cerebrali, ma perché l’esperienza del corpo, la percezione interiore del nostro universo corporeo è la base stessa del nostro equilibrio psichico. La psicologia moderna sa bene che ogni perturbazione psichica è seguita da una perturbazione a livello corporeo. Ma ci sono anche altre ragioni per questa presa di coscienza.

Noi finora abbiamo affrontato  solo la fase dinamica delle asana e l’inizio della fase statica. Una volta raggiunta l’immobilità, il ruolo della mente sembrerebbe quasi terminato. Quando il corpo è in asana sembrerebbe sufficiente ce vi rimanesse senza troppo preoccuparsi di ciò che può fare la mente. E’ esattamente al momento in cui la partecipazione attiva di quest’ultima sembrerebbe meno utile che essa diviene più indispensabile ed essenziale, tanto dal punto di vista degli effetti corporei quanto dal punto di vista degli effetti psichici delle asana.

Una delle condizioni di esecuzione delle asana è costituita dall’immobilità prolungata. Non è dal punto di vista del corpo che nascono le difficoltà per conservare l’immobilità. E’ la mente che si ribella. E’ quest’ultima che cerca di far muovere il corpo, poiché questo corpo immobile vorrebbe, per contagio, immobilizzare anche la mente, ed a questa non piace affatto. Gli indiano paragonano volentieri la mente ad una scimmia, Vivekananda ed altri hanno ripreso questo paragone. La scimmia è sempre in movimento, ed è il simbolo dell’agitazione mentale. Vanno anche più oltre: paragonano la mente ad una scimmia ubriaca punta da uno scorpione !

Ecco dunque la nostra mente scimmia ubriaca che si trova bruscamente imprigionata in un corpo immobile. La mente vorrebbe intervenire, far muovere il corpo, ed ecco che si esige l’immobilità ma la mente, come la scimmia, è scaltra. Si accontenta di movimenti minimi, che soddisfano tuttavia il suo bisogno smanioso di movimento. Lasciando il corpo in una immobilità relativa, cerca di muovere un po’ la testa, o le dita, o i piedi, con il pretesto di aggiustare la posizione. E’ qui che bisogna essere attenti ed esigere che la mente lasci che il corpo sia rigorosamente immobile; se c’è necessità di correggere la posizione, per esempio dopo una decina di respirazioni nell’aratro, si può intensificare l’asana spingendo i piedi più lontano, all’indietro, ma ciò deve essere fatto deliberatamente e dovranno essere eseguite tutte le correzioni insieme. Non bisogna tollerare una irrequietezza continua nel corso dell’asana. E’ certo che ciò non è gradito alla mente, almeno all’inizio. Essa cerca di ribellarsi. Astuta suggerirà: “Ecco è già molto tempo che mantieni questo aratro; se lo mantieni troppo a lungo, non avrai il tempo per eseguire altre asana, ed hai tante cose urgenti da fare oggi”.

Non bisogna ascoltarla, L’immobilità del corpo, la mente-scimmia lo sa bene, pian piano causa una rallentamento dell’attività della mente, riduce il numero dei pensieri che affiorano alla coscienza, ed è questo uno degli scopi ricercati dagli yogi, per lo meno uno degli obbiettivi previsti. Come procedere allora ? Noi  occupiamo la mente, la controlliamo, la manteniamo nell’universo interiore. Bisogna impedire il suo incontrollato vagabondare che tanto le piace. Anche in un corpo rigorosamente immobile, tuttavia molti muscoli rimangono in azione: quelli della respirazione. Il fatto di regolare minuziosamente la durata dell’inspirazione e la durata dell’espirazione al fine di equilibrarle, costituisce già un buon “ancoraggio” per la mente. Conserviamo questo immedesimarsi della mente nella respirazione, aggiungendo una dimensione supplementare: durante l’inspirazione l’allievo pronuncerà in silenzio il suono OM, e così pure durante l’espirazione. L’O deve occupare circa metà del tempo dell’inspirazione (o della espirazione); la M la seconda metà. Di più le OM successive non devono essere separate. Quando termina l’inspirazione, si lascia vibrare la fine della M fino a che comincia l’espirazione e con questa la O. Non si tratta dunque di una successione di OM, OM, OM separati, ma una sequela OMOMOM senza soluzione di continuità. A poco a poco l’attenzione, pur rimanendo sempre fissata sulla respirazione con funzione di supporto ritmico, si focalizza sul ritmo e il suono interiore più che sul ritmo puramente muscolare e corporeo. La mente scivola così verso un piano meno fisico, verso un altro livello di coscienza. La vibrazione dell’OM agisce potentemente sulla mente e la calma prima di operare a livello di coscienza. Lasciate che l’OM interiore si moduli secondo il vostro umore del momento, lasciate che un’atmosfera emotiva sbocci in voi. E’ una gioia interiore che, a poco a poco, pervade la vostra mente sotto l’influenza dell’OMOMOM ritmato come una lenta risacca su una spiaggia. Questo va e vieni mentale, questa vibrazione sottile provoca profondi effetti sull’inconscio. Non è necessario intellettualizzare l’OM, ne dargli un significato. L’intellettualizzazione andrebbe in senso contrario rispetto allo scopo cercato che è precisamente quello di isolare l’intelletto per qualche tempo, a vantaggio delle zone più profonde dell’inconscio. Il nostro psichichismo è molto sensibile, al ritmo e alle vibrazioni. La musica e la danza sono un linguaggio universale e profondo, ma i suoni sottili sono ancora più efficaci.

Che lo si credo o no, l’OM non limita il suo effetto all’inconscio. Anche silenziosa ed immaginata la vibrazione impregnerà tutto il corpo e discenderà fino alle viscere, fino ai tessuti più lontani, fino alle estremità delle nostre dita, nei nostri alluci, fino alla radice dei capelli. E’ un linguaggio segreto che ci permette di giungere alle profondità dei nostri visceri. Noi tendiamo troppo a localizzare l’”io” nel cervello. L’ “Io” è, invece, dappertutto. Esso utilizza, è vero, più il cervello come strumento del pensiero e d’azione, ma non si limita a quest’organo. Ci sono altri centri di coscienza nel corpo. Sarete molto sorpresi nello scoprire di poter trovare dei punti coscienti lontani dal cervello. Non è una coscienza intellettuale e riflessa (propria del cervello), ma una coscienza percettiva, che si fa sempre più acuta col passare del tempo. Forse qualche allievo si mostra deluso se non arriva a percepire ciò nel volgere di qualche giorno o di qualche settimana. Dite pure che questa percezione non giunge sempre al livello della coscienza di veglia abituale. Dite pure che “ciò” avviene anche quando non lo percepite consciamente. In qualunque modo, ciò che ben presto percepirete è che questo sistema di procedere aggiunge una dimensione nuova alla vostra pratica dello Hatha-Yoga. Non c’è più niente in comune con nessun’altra attività fisica usuale, sia essa professionale o sportiva, niente in comune con le nostra attività intellettuali usuali. Noi quindi entriamo in un’altra dimensione, una dimensione segreta ma affascinante. Cessiamo di navigare sulla superficie del nostro essere, nello strato intellettuale, per praticare la “pesca subacquea”, e sotto le onde cha agitano la superficie scopriamo un universo sconosciuto ed avvincente, molto  più vasto di quanto potessimo immaginarci, per scoprire la quiete del profondo. E’ allora che facciamo del vero Hatha-Yoga, dello Yoga integrale, dello Yoga d’integrazione. E le onde della superficie, quando ritornerete al loro livello, non vi scuoteranno più e non vi troveranno più disorientati.

 

(Tratto da “I miei esercizi di Yoga” di Denise e Andrè van Lysebeth)

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